Ho paura di uscire di casa, che succede?

Uno sguardo sul Disturbo di panico, su alcune sue caratteristiche e su alcuni possibili trattamenti.

ll panico consiste in uno stato di intensa paura, spesso percepito come inaspettato, che raggiunge il suo picco in pochi minuti.

Nel corso di un attacco di panico, fanno la loro comparsa  sia sintomi fisici  che cognitivi. I sintomi fisici, sono dovuti all’attivazione del sistema simpatico e possono essere palpitazioni, sudorazione, tremori, dispnea, difficoltà a respirare, dolore al petto, nausea, parestesie; i sintomi cognitivi sono caratterizzati principalmente da catastrofizzazione; la persona nel pieno dell’attacco di panico crede di morire, di impazzire, svenire. Questo perché i sintomi fisici vengono interpretati come indicatori di un grave malessere, che porta quindi all’aumento dell’ansia, e al peggioramento di tali sintomi secondo il cosiddetto “circolo vizioso del panico”.

Un' esperienza di questo tipo, improvvisa ed intensa, in mancanza di un pericolo reale è spesso sintomo di un attacco di panico in atto.

Al disturbo di panico non di rado si associa una condizione psicopatologica chiamata agorafobia. Questa condizione è caratterizzata dall’evitamento di luoghi pubblici e non familiari, soprattutto se da soli, e questo, nelle condizioni più gravi, può portare l’individuo a evitare di uscire di casa o a farlo in maniera molto limitata e con grande disagio.

 

L’agorafobia

Le situazioni in cui si manifestano i timori agorafobici sono ad esempio l’essere fuori casa da soli, l’essere in mezzo alla folla o in coda, l’essere su un ponte, viaggiare in automobile o con altri mezzi di trasporto quali mezzi pubblici: autobus, metro, treni.

Spesso la persona affetta da agorafobia sente di non poter affrontare queste situazioni da sola,   deve avere al suo fianco una persona fidata, spesso un familiare, per affrontare situazioni quotidiane che per lui significano l’attivarsi di sintomi ansiosi, che probabilmente sfoceranno in un vero e proprio attacco di panico.

 

Le situazioni temute, a lungo andare, vengono completamente evitate, gli spostamenti vengono ridotti, fino ad avere totale difficoltà ad allontanarsi dai luoghi familiari.

Gli evitamenti portano l’individuo a rafforzare l’idea di sé come di una persona fragile, che potrebbe solo mettersi in pericolo andando da sola in luoghi pubblici; qualcosa di per sé “neutro”, normale come recarsi al supermercato,  assume dunque una connotazione pericolosa.

L’esistenza di un soggetto agorafobico viene pesantemente influenzata da questa condizione, in moltissimi aspetti. Pensiamo al dipendere dalle figure protettive per i propri spostamenti, ciò limita l’autonomia e può portare alla rinuncia anche di opportunità lavorative, a causa sia della paura di affrontare nuove situazioni che di allontanarsi da queste figure.

 

Tutto ciò può incidere negativamente sull’umore, sull’autostima e in generale sulla qualità della vita della persona.

“Quali sono alcuni degli interventi possibili?

Il disturbo da panico, così come altri disturbi d'ansia, può sicuramente essere trattato nel corso di una psicoterapia, per supportare la persona, e talvolta anche la sua rete familiare, nel riconoscimento del disagio provato e di quei meccanismi che si sono organizzati intorno al sintomo, per orientarla ad una comprensione delle cause che ne sono alla base e per lavorare all'individuazione di strategie che permettano alla persona di recuperare una buona qualità della vita, ponendosi tra gli obiettivi la risoluzione dei sintomi stessi.

Ogni approccio utilizzerà le sue specifiche chiavi di lettura e di intervento per inquadrare e trattare il problema.

Quando, ad esempio, di fronte ad una sintomatologia significativa, l'intero nucleo familiare esprime un disagio importante e l'organizzazione del funzionamento dei membri del sistema appare subordinata alla gestione dei sintomi, o nei casi in cui il disturbo si manifesta in un minore, una possibilità di intervento è rappresentata dalla psicoterapia familiare.

Rispetto all'agorafobia, una delle soluzioni possibili per il trattamento è rappresentata dalla terapia cognitivo-comportamentale.

Questo approccio lavora sugli aspetti cognitivi ed emotivi del disturbo, oltre che sugli aspetti comportamentali. Prima di tutto bisognerà ricostruire la storia del problema e comprenderne l’aspetto emotivo alla base, poi si passerà a trattare i comportamenti di coping disfunzionali come appunto gli evitamenti.

Si arriverà a una psicoeducazione sul circolo vizioso, mirando ad interromperlo con pensieri funzionali basati anche sul cambiamento dell’immagine di sé: non più un individuo fragile esposto ai pericoli del mondo esterno che non riesce a  controllare, ma un individuo capace di affrontare, eventualmente, le situazioni critiche che gli si presenteranno.

Con questo cambiamento della percezione di sé, dei propri stati emotivi e delle proprie potenzialità si può passare alla fase dell’esposizione.

Fissando una scala crescente di obiettivi, che terapeuta e paziente concordano insieme, si può, per gradi, arrivare ad uscire di casa, prima per una passeggiata in un luogo meno affollato, e poi fissare i vari obiettivi intermedi che portino il paziente ad affrontare la situazione per lui più temuta.

 

“Quando il terapeuta va a domicilio?”

Uno sguardo sui casi in cui raggiungere lo studio di un professionista diventa un obiettivo e non l'inizio di un trattamento.

In una situazione del genere spesso tutto il nucleo familiare sente il peso del problema, vedere un figlio o un coniuge che non riesce a uscire di casa, con tutto ciò che ne comporta, può far emergere vissuti di preoccupazione, ma anche di rabbia.

Abbiamo inoltre parlato del familiare che può rappresentare la “figura protettiva”, tramite cui il paziente riesce a uscire ed affrontare i luoghi che teme, dunque anche la vita di questa persona comincia ad essere condizionata dal disturbo; ad esempio, “senza di lui sua sorella non si reca all’università o sua madre non va al supermercato”.

Sono molteplici le situazioni in cui la persona esce di casa pochissimo, o come già detto solo “con la vicinanza fisica ed emotiva di qualcuno”, o si ritira sempre di più, svolgendo la sua vita all'interno di casa e isolandosi completamente o quasi dall'esterno.

Ecco allora che spesso i familiari si rivolgono a noi, a coloro che svolgono il servizio di psicoterapia a domicilio. In questa occasione, previa valutazione della richiesta, per comprendere se ci sia effettivamente un' impossibilità del paziente ad uscire di casa, lo psicologo varca la porta di casa.

Entrare nel contesto domiciliare del paziente significa anche riuscire a comprendere dettagli sulle dinamiche familiari. Durante i primi incontri valutativi, il terapeuta ha l’opportunità di potersi confrontare anche con i familiari coinvolti, in modo da comprendere a pieno il vissuto familiare, ma anche di far emergere eventuali dinamiche che rinforzano involontariamente il comportamento disfunzionale e arrivare a cooperare perché questo non avvenga.

Si parte dunque dalle sedute psicoterapeutiche all'interno del setting creato nel domicilio stesso della persona: comprendere la storia del disturbo, i significati che ci sono dietro, comprendere i fattori emotivi che emergono, conoscere l'organizzazione familiare intorno alla persona e ai suoi sintomi, fino ad arrivare, ad esempio, nel caso di una terapia di approccio cognitivo-comportamentale,  alla preparazione per la terapia dell’esposizione.

 

Uno degli obiettivi è  portare il paziente fuori da casa, così da permettergli di accedere ad una terapia  a studio. In questo modo, l'intervento domiciliare diventa un ponte tra la casa, percepita come il posto sicuro, e il mondo esterno, che rappresenta l’ambiente pericoloso.

Quella casa è ormai diventata una prigione dorata per l’individuo, il luogo di tranquillità, ma anche quello da cui è impossibilitato ad allontanarsi.

Consentire ad un esperto di entrare in casa propria può essere molto complesso, significa dargli accesso ad un’altra parte di sé, fargli un po’ vivere quei luoghi di sofferenza, ma anche fornirgli una carta in più: cogliere delle risorse che probabilmente non emergerebbero all’interno delle mura dello studio.

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Articolo redatto da:

Dr.ssa Francesca Castellano 

 

 

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